Hnat Domenichelli tra presente e futuro
di Piergiorgio Giambonini
22 dicembre 2007, Langnau-Ambrì-Piotta: strappo del legamento crociato anteriore del ginocchio destro. 19 ottobre 2012, Zurigo-Lugano: frattura di tibia e perone della gamba destra. Sono questi, con le loro dolorose conseguenze, gli episodi più duri e difficili nella lunga, gloriosa e tutt’altro che conclusa carriera di Hnat Domenichelli. Una carriera che lo ha visto vincere due volte il campionato juniori nordamericano, giocare quasi 300 partite in NHL e vincere il titolo pure in AHL. Una carriera che a quel punto lo ha portato in Svizzera ad esaltare per quattro anni e mezzo il Ticino biancoblù, ed a cambiargli la vita anche a livello privato. Una carriera che proprio in quell’inverno 2007/08 ha conosciuto una nuova svolta con il traumatico (in tutti sensi) congedo dall’HCAP e il clamoroso (se non altro per quel contratto di sei anni) trasferimento sul fronte bianconero. Una carriera che, pur passando dall’impagabile avventura olimpica vissuta in maglia rossocrociata nel 2010 a Vancouver, nella fase-HCL non gli ha però ancora permesso di vincere quell’ennesima grande sfida in cui si era lanciato decidendo il suo trasloco dalla Valascia alla Resega… e in cui, alla soglia dei 37 anni, tornerà a lanciarsi fra qualche settimana, quando questo suo secondo grave infortunio sarà diventato un brutto ricordo. Ma intanto, proprio in questi mesi trascorsi ai box, la sua vita e fors’anche la sua carriera gli hanno riservato l’ennesima svolta inaspettata.
Allora, Hnat, a che punto sei sul cammino verso il rientro?
Mi sembra di essere a buon punto, ma il… verdetto lo avrò giovedì prossimo, il 17, quando andrò a Zurigo per un nuovo controllo dallo specialista. È lui che dovrà darmi il via libera per aumentare i carichi di lavoro sul ghiaccio. Intanto, dopo aver fatto tanta bici, nuoto, pesi… all’inizio di questa settimana sono tornato a pattinare da solo, ma con tutto l’equipaggiamento, una mezzoretta al giorno. Spero di poter tornare in squadra dopo la pausa di metà febbraio.
Questo è il tuo secondo grave infortunio, a cinque anni di distanza. Quanto era stata dura allora, e quanto stavolta?
Onestamente, era stato peggio nel 2007, perché si era già a Natale e per me la stagione finì in quel momento, con la prospettiva di otto mesi di riabilitazione. Stavolta ad aiutarmi moralmente c’è stata invece la consapevolezza di poter rientrare ancora nel corso del campionato, o al più tardi per i playoff, e questo aiuta. E poi l’infortunio di cinque anni fa era stato molto più grave, più complesso, ed era stata anche la prima operazione chirurgica della carriera. Mi chiedevo se e quando sarei tornato ad essere il giocatore che ero. Stavolta ho reagito diversamente, sapendo che me la sarei cavata in tre mesi…
Nelle settimane trascorse con le stampelle, lontano dai pattini, hai mai pensato di mollare tutto?
Questi pensieri ogni tanto alla mia età li fai, soprattutto quando non sei sul ghiaccio con gli altri ad allenarti e a giocare. Ma non si può smettere così… In questi mesi ho fatto con gli Juniori Elite un’esperienza molto positiva, perché è stato un po’ come aprire una finestra sul mio futuro, e in questo senso ho raggiunto il mio scopo, perché ho capito che in futuro potrei anche diventare allenatore, ma che per ora rimango un giocatore. Con l’HCL ho un contratto che scadrà nell’aprile del 2014, ma posso benissimo immaginare di andare oltre... Fondamentale, al di là ovviamente della salute, è in ogni caso la “voglia” di andare avanti, quella di un Nummelin, o di un Metropolit. E io oggi ho ancora una gran voglia di giocare…
Com’è nata questa tua collaborazione con gli Juniori Elite?
Quando Mike McNamara è diventato assistant-coach del Losanna, a metà novembre Habisreutinger mi ha chiesto se mi interessava dare una mano a Laakso e Eberle per qualche giorno, in attesa di trovare una soluzione, e ho accettato volentieri. Fatto sta che mi sono ritrovato head-coach e che siamo andati avanti noi tre fino a dopo la pausa di Natale, ma adesso abbiamo deciso di... separarci: io devo tornare a concentrarmi al 100% sulla mia preparazione.
Un’esperienza positiva e utile, dicevi.
Sì, e aggiungerei diversa, pure perché nelle prime settimane l’ho affrontata e vissuta con le stampelle… All’inizio mi ero detto che in fondo era meglio che stare a casa – come diciamo in Canada – a guardarmi i piedi, ma ben presto è diventata molto di più di questo. Per me è stata una bella opportunità e ho imparato parecchie cose perché ho “visto” e vissuto l’hockey da un’altra prospettiva: come giocatore pensi in fondo solo a gestire te stesso nell’ambito di una squadra, mentre come allenatore devi pensare a e per tutta la squadra. E poi è diversa anche la concezione del lavoro stesso: con i giovani la priorità assoluta non sono i risultati, bensì il loro sviluppo, a costo di schierarli in posizioni e ruoli per i quali magari non sono pronti, accettando di pagare il prezzo a livello di errori e di sconfitte.
E come sono messi gli Juniori Elite bianconeri?
In generale bene, ci sono ragazzi di talento e un buon potenziale. Del resto abbiamo chiuso la prima parte della stagione al 5° posto, e questo è davvero un gran bel risultato, considerando anche che in dicembre ci siamo ritrovati a giocare parecchie partite con 13-14 giocatori a causa del mese di “congedo” natalizio concesso ad alcuni ragazzi stranieri che giocano a Lugano (due americani,un ceco e un russo), come pure degli impegni dei vari nazionali U20, compreso il nostro portiere lettone Merkzlikins, e dell’infortunio di Fazzini. Ecco, proprio il fatto che ai Mondiali di Ufa ci fossero in lizza quattro ragazzi usciti dal nostro settore giovanile dà l’immagine di quanto bene si lavori a Lugano pur in condizioni tutt’altro che evidenti.
In che senso condizioni tutt’altro che evidenti?
Nel senso che, per ovvi motivi geografici come pure di lingua, il serbatoio e quindi i numeri sono quelli che sono. Ripeto: il fatto di avere una squadra di Juniori Elite nelle parti alte della classifica e quattro ragazzi ai Mondiali U20, è già di per sé un piccolo miracolo. Ma anche in una realtà periferica come quella dell’HCL, se tutti i talenti di casa restassero fino a 19-20 anni a giocare negli Juniori, si potrebbe lottare per il titolo di categoria. Oggi la tendenza dei giovani è però di partire presto, vuoi per il Nord America, vuoi per tentare non appena possibile la carta del professionismo in LNA, a causa soprattutto dell’enorme pressione dei procuratori, e questo a mio avviso è sbagliato.
I giovani talenti tendono insomma a bruciare le tappe.
Parlo sulla base di quella che è stata la mia esperienza: io ho lasciato casa a 16 anni ma ho dovuto giocare nelle leghe giovanili fino a 20, e sono convinto che l’età in cui un giovane “cresce” maggiormente sia proprio a 18-19 anni. Questo è il periodo fondamentale a livello di formazione, quello che ti dà quel 10-15% in più nella tua crescita che in seguito non avrai più modo di recuperare. Un altro aspetto estremamente importante è questo: in Canada per ogni ragazzo che gioca a hockey ce ne sono 10 pronti a rubargli il posto, e se non dai ogni giorno il massimo sei fuori. Quando poi arrivi in età juniori, ovvero all’ultima tappa prima della NHL, le “rose” contano 35 giocatori e la concorrenza interna è enorme. Qui in Svizzera, invece, i numeri sono diversi, e tutto va di conseguenza: chi c’è, gioca. È un bene che ogni bambino o ragazzo abbia la possibilità di farlo senza troppa pressione fino a 20 anni, ma un giovane giocatore diventa migliore grazie anche e soprattutto alla concorrenza interna.
Riassumendo: toccasse a te decidere, cosa faresti?
Escluderei gli Under 20 dal campionato di LNA: fino a quell’età li obbligherei a giocare negli Juniori, alzando così di parecchio il livello della categoria e dandole pure un assetto più professionale. Ma mi rendo conto di andare controcorrente, come pure che per lanciarsi per primi in una strategia societaria del genere un club dovrebbe avere moltissimo coraggio. Il ragazzo, per quanto talentuoso possa essere, da parte sua dovrebbe accettare di seguire questo “programma di formazione” fino ai vent’anni. E pazienza e fiducia dovrebbero averla pure i genitori, e i padri in particolare. Ma chi decidesse di lavorare con i giovani con questa filosofia, attirerebbe – ne sono sicuro – anche un numero sempre maggiore di ragazzi da altre regioni.
Hai esposto queste tue teorie allo staff tecnico dell’HCL?
Sì, ne abbiamo parlato, e siamo tutti d’accordo sul fatto che sarebbe bellissimo potersi lanciare in un progetto del genere, ma che il mondo dello sport professionistico, purtroppo, non funziona così.
Hnat Domenichelli da grande farà comunque l’allenatore?
È una possibilità, e questa esperienza con gli Juniori mi è servita molto anche in questo senso, perché ho capito quante e quali siano le differenze tra un allenatore di LNA e uno a livello giovanile. Nel primo caso il club ti mette a disposizione tutto ciò di cui hai bisogno, ma tu devi vincere il più possibile, mentre quando lavori con i ragazzi hai meno pressione per i risultati immediati ma hai l’enorme responsabilità di far crescere quei giovani giocatori il meglio possibile
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