Statistiche alla mano, John Slettvoll è l’ allenatore che negli ultimi 30 anni ha ottenuto la miglior media punti/partite con il Lugano. In realtà, meglio di lui ha fatto Harold Kreis, che arrivò giusto in tempo per salvare capre e cavoli nel quarto di finale con- tro l’ Ambri (stagione 2005/2006) e lasciò il club dopo la vittoriosa finale contro il Davos . In totale 15 partite, troppo poche, tuttavia, per metterlo a confronto con i suoi predecessori e pure i suoi successori. Questi numeri sono stati pubblicati nei giorni scorsi dal Blick e contengono, volenti o no- lenti, una verità indiscutibile: il tec- nico di Umea è stato l’unico, pur fra alti e bassi, momenti esaltanti e altri meno ‘edificanti’ (leggi fuga di mez- zanotte d’inizio 2009) a districarsi con successo nella difficile realtà del- l’HCL.Ancora oggi è considerato il mago del Grande Lugano, l’uomo che ha trasformato un piccolo club (grazie anche agli sforzi economici di Geo Mantegazza) in una grande potenza in campo nazionale: quattro titoli con- quistati (86, 87, 88, 90), due parteci- pazioni alla fase finale della Coppa dei Campioni, quando c’ erano ancora le temibilissime squadre dell’ Unione Sovietica, e una finale di Coppa Spen- gler persa contro il CSKA di Mosca, non certo la Dinamo Minsk... L’uomo che rivoluzionò l’hockey svizzero sta ora vivendo un momento particolar- mente felice della sua vita: tre setti- mane fa sua figlia gli ha infatti regalato una nipotina e l’hockey sembra essere finito in secondo piano, anche se, gra- zie all’amico Fausto Senni (ex DS dei tempi d’oro) e alle notizie su internet riesce comunque a seguire la sua vec- chia squadra e a rammaricarsi per le sue prestazioni incolori.
Slettvoll, cosa le viene in mente, leggendo la classifica del Lugano?
«Non dico che mi vien da piangere. mentirei spudoratamente. Ma che mi dispiace questo sì. Non solo: in fondo, sapevo che con Bozon non sarebbe stato facile. Ha pochissima espe- rienza per un campionato come quello svizzero. Non so quali siano le dinamiche che hanno portato a questa crisi. Di certo, a Lugano mi sembra che siano sempre gli allenatori a fi- nire sotto processo. La cacciata di Johansson era stata una decisione emotiva. E se Bozon, che lo ha sosti- tuito, non sta facendo meglio di lui, probabilmente c’ è dell’ altro».
Per esempio?
«Vado per deduzione: forse sono i giocatori che non stanno rendendo come dovrebbero. O forse non rie- scono ad entrare sulla stessa lun- ghezza d’ onda di Bozon. O forse semplicemente non sono in grado di sviluppare le idee del coach». L’allenatore che ha rimpiazzato Jo- hansson, sta facendo peggio di tutti coloro che lo hanno preceduto. «Non conosco le statistiche. Ma torno a quanto ho detto prima: Bozon non ha assolutamente esperienza. Potrà essere un duro, potrà essere un alle- natore coraggioso o generoso, che ne so, uno che non guarda in faccia nes- suno. Ma se non hai la pratica, fai fa- tica. Eccome. M’immagino che per lui sia veramente una situazione difficile: la pressione alla Resega non è roba da poco».
Qual è il male oscuro di questo Lugano?
«Bella domanda. Forse c’è troppa gente che non dovrebbe stare dov’è. Ho l’impressione che ci sono troppe teste che comandano. Mi si dice che Mantegazza non segue piu come prima. Ecco: forse è proprio questo il problema. Quando c’ero io eravamo in due e basta Geo le questioni am- ministrative e societarie, io la squadra. Adesso non si capisce chi comanda».
Il fatto che Mantegazza deleghi, lo si può ritenere un difetto? Cosa suggerirebbe al club?
«Io di consigli non ne dò. Le persone che sono preposte a dirigere la so- cietà sono abbastanza grandi per sa- pere cosa devono fare. Se poi fanno la scelta giusta, beh, questo è ancora da verificare. Certo vedere il Lugano arraffare in quella posizione non è una cosa normale. Mi dicono anche che gli stranieri non vanno... Mah, biso- gnerebbe essere sul posto per capire e io in questo momento ho ben altri pensieri per la testa. Robitaille? Anch’io due anni fa dissi che non era un uomo squadra e che giocava solo per lui. Del resto, lo lasciai in tribuna senza farmi problemi».
Noi abbiamo chiesto un atto di coraggio (anche finanziario): come nel 1983, quando arrivò lei. E cioè ingaggiare Arno Del Curto.
«Conosco Del Curto per la fama che si è costruito. Ma non saprei dire se a Lugano andrebbe bene. La piazza bianconera è particolare, difficilis- sima».
Le hanno chiesto di tornare?
No, assolutamente... Io, comunque, sono sempre pronto a mettermi in gioco». Ride.
Ci racconti della famosa fuga di mezzanotte.
«Quello fu un atto istintivo in un momento in cui avevo capito che non mi volevano più. Senza Slettvoll e i suoi due assistenti era difficile trovare spazio. E dire che si era partiti per sviluppare un progetto a lungo termine...».
Io farei la pazzia e lo chiamerei nuovamente fino a fine stagione, più almeno ancora un anno.. l'unico che, a mio pare, conosce benissimo l'ambiente ma non è un ex-giocatore bensì un grande allenatore, l'unico che sia in grado di ridarci un gioco e la mentalità giusta..chiamatemi pazzo ma io lo rivorrei..
